mercoledì 4 febbraio 2009

Vento contro

( dipinto di Mariano Chelo)

Il campo della mia vita è sempre battuto dal vento.

Le raffiche piegano le spighe e i lunghi steli, spezzano le teste fragili dei fiori, spulciano gli alberi portando via le foglie più deboli, fischiano fastidiose tra i cespugli, deviano il volo degli insetti e radunano o mettono in fuga truppe di nuvole bianche o nere. Il vento senza sosta contro il quale mi spingo con le mani avanti, come ad aprire una porta difettosa o a scansare un grosso masso.

Il campo della mia vita ha in mezzo uno spaventapasseri poco spaventoso, a dire il vero, uno spauracchio che - al colmo della stoicità – ora quasi amichevolmente saluta gli uccellacci che gli si posano, spavaldi, sulla spalla impagliata, uccellacci che credeva in passato di poter scacciare semplicemente con la propria immobile presenza.

Il campo della mia vita ha dimensioni sconosciute e non so mai quale direzione prendere e per quanto mi adatti ogni volta a cambiare percorso, il vento mi sorprende prevedendo la mia mossa e mi si rivolta contro. E allora ecco che ripiego le spalle e giungo le mani a proteggere il torace –lì c’è il cuore, non dimentichiamolo – ecco che chiudo gli occhi perché il vento li fa piangere, ecco che comincio a spingere e spingere immaginando di sfondare la mischia in una partita a rugby. Niente, il vento vince sempre.

Il campo della mia vita è quadrato o tondo o a forma di focaccia rosicchiata ai lati, e ora sono proprio nel mezzo e il vento mi sta aspettando. C’è la quiete. Io attendo lui, lui attende me. Mi spia, ma da dove? Mi guardo attorno, il bavero rialzato a coprire la bocca – lì c’è la voce dell’anima, non dimentichiamolo – e aspetto il colpo… il lancio di una cannonata d’aria a colpirmi.

E mi colpisce, puntualmente.

Cado all’indietro, ma mi rialzo, pochi centimetri alla volta e parto al contrattacco: non lo vedo, ma lo sento, e che faccio?

Come tutte le volte, inizio ad arrancare e lo faccio sempre controvento.

Sempre controcorrente. È più cieco il vento o sono io ad essere cieca? Perché questo ostinato moto che mi porta sempre contro il vento, contro tutto? Questo vento che è calamità e calamita allo stesso tempo?

Non so rispondere ma in un lampo mi viene in mente la voce roca e bassa di un mio collega che poco tempo fa, in un mio momento di sconforto, mi ha battuto con fare paterno una mano sulla spalla e mi ha detto: “Ricòrdate: controcorènte ce devi gì sempre, ma controculo no, mai”. “Ah!”, gli ho semplicemente risposto, non sapendo che dire.

Nel campo della mia vita, ora, in mezzo all’erba che inizia di nuovo ad animarsi frusciando, mi metto a ridere, una risata che il vento ruberà per portarla verso chissà cosa e chissà chi.

Il vento inizia a ruggire. E allora io riprendo il cammino.

Controcorrente sempre, ok, mi può star bene.

Controculo no, mai.


(Grazie, Sè.)

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