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domenica 31 maggio 2009

Anche il nuovo prima o poi diventa vecchio

- Anche il nuovo prima o poi diventa vecchio, l'importante è saltare via, andarsene un attimo prima che ciò accada o cercare di interrompere questo processo inevitabile e assicurarsi così la continua dose di adrenalina che ti acchiappa ogni qualvolta qualcosa di nuovo ti-
- Quanto zucchero nel caffé?
- Non interrompermi, cazzo, con una domanda così fuori luogo!
- Non è una domanda fuori luogo, ti sto preparando il caffé. Ripeto: quanto zucchero nel caffé?
- Non lo voglio più, il tuo caffé, ecco.
- Ma perchè fai così?
- Perchè ero partito tutto bello ispirato, ti stavo esternando una mia cosa, una cosa che mi porto dentro da giorni, forse settimane intere, una cosa che solo ora sto capendo e volevo condividerla con te perché tu solamente puoi capirmi, allora -dicevo- bisogna rompere il cerchio, spezzare le catene per impedire che ad un certo punto la routine, la noia, l'abitudine sbiadiscano le cose della vi-
- Latte?
- Ma porcoddìo, allora! Ancora?! Ti sto parlando, cristo, sto tirando fuori a fatica una mia cosa e tu ancora con queste stupide domande?!
- Stupide domande? se ti avessi chiesto "benzina" al posto di "latte", sarebbe sembrata una domanda stupida o perlomeno strana, invece era una domanda legittima: devo sapere, adesso, se vuoi del latte nel caffé.
- Devi sapere?
- Certo, devo sapere come procedere, come andare avanti nella mia operazione di preparazione di un caffé per te. Come lo vuoi, allora, questo benedetto caffé?
- Non lo voglio più, mi pare di avertelo già detto, ma è ovvio che non mi stai a sentire per cui anche il discorso sul nuovo che prima o poi invecchia se non s'interviene con un'azione preventiva di rottura lo potevo fare tra me e me, se questo è il tuo modo di reagire quando ti parlo.
- Macché, m'interessa e molto, anche. Continua.
- Mmh...e vabbè. Ecco - dicevo - arriva ad un certo punto che il sapore e i contorni delle cose e anche la figura, la voce, lo sguardo e l'atteggiamento delle persone, tutto questo è talmente risaputo, vecchio e stantio, che non ci fai più caso e ti spegni e muori dentro... tipo, perdi interesse per tutto quel che ti circonda, perciò concludo dicendo: invecchiamo perché permettiamo alle cose e alle persone d'invecchiare e di conseguenza, invecchiando queste cose, invecchiamo pure no-
- Li vuoi due biscottini, col caffé?
- Ma allora vaffanculo! Stronza! Sempre ad interrompermi! Proprio nei momenti più delicati, poi! è importante per me questo discorso e.. eppoi è maleducazione, ecco! sai che c'è? il caffé e i biscottini dalli a-
- Hai ragione, hai ragione su tutta la linea.
- ... cioè?
- E' maleducazione interrompere gli altri... spezzare il ritmo... rompere il flusso dei pensieri... deviare il corso delle parole con inutili domande... prego, continua... continua pure sulla tua strada, che stavi dicendo?
- ...
- ...
-Stronza!
-Vecchio...
- ...
- ...

mercoledì 20 maggio 2009

Fu nera


Sto attenta al particolare, mentre mi vesto, ho un funerale che mi aspetta e anche se so che all'unico corpo in posizione orizzontale presente alla cerimonia poco importerà della mia mise, mi adeguo alla richiesta di sobrietà e cupezza, perchè so che esiste gente che potrebbe rimanere sconvolta qualora mi presentassi con gli zoccoli giallo limone - zoccoli che, per un attimo, mi hanno comunque tentata, devo ammettere...
e allora painted in black, esco e cammino senza pensare e quando rispondo al telefono al collega che vuole solo fare due parole e mettermi in guardia dal "covo di vipere" che mi ronza attorno, io rispondo con serenità: - Sto andando ad un funerale noto che il silenzio e il cambio di tono del suddetto collega quasi mi stupisce e mi chiedo, mentre lui è lì a sciorinare paternalistiche e metaforiche pacche sulle spalle, perchè mai questo silenzio, questo abbassamento di voce e poi mi rispondo: - Ah, già: sto andando ad un funerale.
Arrivata davanti al luogo più estraneo che la mia mente possa concepire - una chiesa - mi fermo all'entrata perché sono l'unica persona vestita total black e la cosa mi blocca: vecchiette (la maggior parte dei presenti è vecchia, lo si nota dai capelli grigi e bianchi, dalle spalle curve, dalle gambe storte, dalle matrone dal corpo ormai cubico, dalle camicie azzurrine dei signori e dai pantaloni con le pences) con delicate camicette a fiori e magliettine dai colori pastello e allora mi dico, non fa niente se ho cannato la mise, alla protagonista di questa cerimonia non importa.
Le persone anziane mi riservano sguardi gentili e pudici, di quelli che non vedo più sui volti dei giovani o dei miei coetanei.E inizio a chiedermi...
Ma non faccio altre deviazioni mentali, sto presenziando ad un funerale.
Uscendo, dopo aver salutato la nuora della protagonista (quella in posizione orizzontale e tolta dalla vista), riprendo a camminare e sento una voce cristallina chiamare il mio nome: un'altra collega, bellissima nella sua tuta tutta bianca e in sella ad una bici anch'essa tutta bianca, mi sfreccia accanto e mi sorride e io la saluto, e penso che per un istante - breve istante - nell'incrociare gli sguardi, io e lei abbiamo formato un tao formidabile e istantaneo, io nera che torno da una morte estranea e lei bianca a pedalare incontro alla casa, alla famiglia, ovvero la (sua) vita. Sono contenta che non si sia fermata, quel sorriso che ondeggiava sulla bici si sarebbe fermato alla risposta "torno da un funerale".
Scendo lungo i vicoli pieni di storia di cui non m'importa granché in questi utlimi tempi, e mi rendo conto che il nero che mi porto addosso striscia sulle mura e fa rumore lasciando una scia, ma sono incurante di tutto questo, perché forse la scia nera esce direttamente dalla mia testa, non lo so ed è con questa mia leggerezza che continuo a camminare ancheggiando (ancheggio a causa di un lieve mal di schiena) e invio un sms ad un altro collega per sapere con che mezzo verrà a prendermi. Risponde subito, segno che non l'ho buttato giù dal letto. Sorrido mentre m'immagino lo sguardo comunque assonnato...
"Moto", risponde lui.

Penso alla protagonista del funerale, è la mamma di un mio amico che non vedo da tempo e mi chiedo: - Mariola, quando è stata l'ultima volta che sei salita su una moto, tu?
Sorrido perché m'immagino che la madre del mio amico mi sorriderebbe e mi risponderebbe: - Ma che cosa vai a chiedere, Olga...Lo so, ma immagina, Mariola, quante strane domande e chissà quali pensieri toccano il protagonista di un funerale.
Rileggo sul display la parola MOTO, e immaginandomi nell'atto d'infilare il casco e stringermi al mio collega in un abbraccio necessario, mi accorgo di colpo che non ti ho mai abbracciata, Mariola. Mi fermo sui gradini in discesa del vicolo.
Un pensiero nero, ecco quel che ho appena avuto.
Non ho abbracciato tuo figlio, il mio amico, perché non volevo vedere i suoi occhi.
Un pensiero nero che è subito sbiadito perchè oggi, quando la moto sfreccerà, io chiuderò gli occhi e vi vedrò, Mariola, te e tuo figlio.
E solo dopo potrò dire: - Sono "stata" ad un funerale.

In maniera molto strana - e forse superficiale, ammetto - ti ho voluto bene e mi capiterà di pensare a te e a questi pochi attimi di vita appena descritta, vita banale ma pur sempre (la mia) vita.
Fu nera ma da un po' non lo è più.

giovedì 5 marzo 2009

Herpes

Lei stava ferma, la schiena diritta e i piedi perfettamente appaiati di fronte alla vetrina del negozio di stoffe. Non era interessata a nessuno dei tessuti che, a guisa di onde immobili e colorate, disegnavano un piccolo mare di arcobaleno la cui superficie era l’immacolata e liscia vetrata. Lei stava osservando se stessa trasparire riflessa sul vetro e tutta la sua attenzione, tutta la sua esistenza era concentrata sulla macchia rossa sull’angolo destro del labbro inferiore. Un herpes di dimensioni ragguardevoli, una stonatura su quel viso già di per sé stonato, irregolare e un po’ sbattuto.

La ragazza distolse lo sguardo e nel voltarsi di scatto per sfuggire al più presto dalla visione ipnotica dell’herpes, quasi travolse il ragazzo che in quel momento stava passandole dietro alla schiena.

Ops, scusa!

No, figurati!

Lei tenne lo sguardo basso, coprendosi labbra e mento con la mano, ma bastò un’occhiata di sfuggita per constatare che il ragazzo era bello e che lei invece era impresentabile con quell’herpes, e si vergognò. Ragion per cui aggrottò la fronte, restituì al ragazzo che le fissava la bocca uno sguardo duro come uno scudo, e se ne andò.

Il ragazzo la guardò, voltandosi, e vedendola camminare con lo sguardo schivo, la schiena curva e il passo rapido e leggero, pensò che fosse proprio una bella ragazza e che le sue labbra fossero piene e invitanti, peccato che con l’infallibile liguaggio del corpo lei gli avesse comunicato, a lui che le aveva anche sorriso, totale chiusura e rifiuto.

Niente - sospirò sconsolato - non è successo. Non succede mai niente, è il destino…

La ragazza, cento passi più avanti, pensò la stessa cosa nello stesso istante.

La storia finisce così, ovvero che i due continuano a vivere, provocandole ad ogni istante, cose risapute e scontate, maledicendo il destino e aspettando un’occasione che, più la si attende, più sembra non arrivare mai, chissà perché.