sabato 31 gennaio 2009

Normalmente


  • … addirittura questa cicciona si presenta con un bollettino strappato! E quel ritardato dell’impiegato, un tipo magro e giallastro sulla quarantacinquina, che cosa fa? Prende lo scotch. Lo spauracchio di tutti gl’imbecilli che non si premurano affatto di lasciare un margine rialzato sul suddetto rotolino di scotch, di quelli fini e gialli da ufficio. Ancora più destabilizzante se si considera che l’imbecille e lento impiegato è di quelli che hanno le unghie talmente modificate da anni di rosicchiamenti e sanguinamenti, da averle più piccole delle persone normali, la metà di quelle normali, inghiottite dal polpastrello tipo dita di rospo, grosso e inutile. Unghie che mi sembrano, quando le osservo, sempre sul punto di voler sorgere, ma che vengono bloccate dall’ipertrofia innaturale dei polpastrelli che sono andati a riempire il vuoto lasciato dalle lunette rosicchiate. È colpa delle mamme di questi deficienti: hanno mai pensato di applicare la tintura di iodio alle unghie dei loro bambini vivaci e ipervitaminizzati? No, lo chiedo perché so per esperienza che il vizio di mangiarsi le unghie è molto frequente, da piccoli. Anch’io le mangiavo ma mia madre mi ha tolto il vizio. Sì, con la tintura di iodio, amara come il fiele. Beh, ovviamente il vizio lo prendi anche da grande, per un’ansia o un problema che ti mangia il cervello. Il problema, l’ossessione, il nervoso ti mangiano i pensieri e tu ti mangi le unghie, per tutta risposta. Le mie unghie sono lunghe il giusto per essere quelle di un uomo e sono ben curate. Vuole vederle?
  • Sì, sì riprendo… allora l’impiegato è lì che gratta, gratta il bordo invisibile del rotolo di scotch, ma non riesce a venirne a capo e i secondi passano e diventano lunghi come ore. Certo, alla fine ci ha messo relativamente poco, ma nella mia mente questi secondi sono sembrati ore, giorni. Avevo male alle gambe, non bastava più spostare di volta in volta il mio peso da una gamba all’altra. Faceva caldo.
  • La colpa non è mia. Io non vado in giro armato o con oggetti pericolosi, se si eccettuano le chiavi della macchina e comunque questo particolare delle chiavi mi sembra ininfluente dato che nell’istante epifanico prima del fatto non ho per un attimo considerato le chiavi della mia auto come mezzo per sbloccare la situazione di stallo che si era venuta a creare. No, la colpa è anche della privatizzazione delle poste: adesso sono diventati veri e propri mercatini. Ci trovi di tutto: libri, ricettari grossi come enciclopedie, cd e – sotto le feste natalizie – cofanetti i cui proventi vengono devoluti in beneficenza e giocattoli per bambini, e poi, ovvio, vendono pure cancelleria.
  • Una bic. La bic è parte delle nostre vite e direi anche dei nostri corpi, la bic è una propaggine delle nostre dita, tanta è la familiarità e la preponderanza di tali oggetti nelle nostre esistenze. Non viviamo senza accendini, forbicine e penne e quant’altro. La bic mi ha chiamato, capisce? Mi ha guardato lei per prima, sono sicuro di non essere stato io a dirigere di mia spontanea volontà lo sguardo sulla bic. La bic blu. È stata lei che mi ha ammiccato, ho quasi sentito la sua voce. Conosco la sua voce, la uso da anni. Sembra la voce del mio commercialista, il quale ha il viso lungo e i capelli lisci che lo fanno sembrare proprio il tappo di una bic. Una volta, da ragazzo, ciucciando il tappetto della bic mentre stavo preparando un esame di matematica, l’ho ingoiato. E non si contano le volte in cui l’inchiostro delle mie bic è fuoriuscito imbrattando tutto, quaderni, libri… no, era per dirle l’importanza e il protagonismo con i quali la bic ha sempre intriso la mia vita…
  • Ho preso la bic, mi sono sporto in avanti e l’ho infilata nell’occhio sinistro dell’impiegato lento come una lumaca. Una vecchia ha urlato e io ho solo detto – un io a me scollegato, perciò l’io di una possibile ripresa dall’esterno: ero io a guardare e udire me stesso – ho detto: - Calma, signora, non è successo niente.
  • La gente si è allontanata da me, l’effetto dell’onda a cerchio quando buttiamo un sassolino nelle acque del fiume, del mare. Il sasso ero io, o meglio la bic era il sasso. Tuffato nell’orbita oculare dell’impiegato inefficiente. Un po’ di tempo dopo – quanto tempo? Beh, per me un istante dopo - breve come il big bang – per qualcuno, come ho letto dall’intervista sul quotidiano – millenni dopo, comunque non importa, l’impiegato magro e giallastro, quasi epatico, suppongo, ha lanciato un urlo e sa cosa ho pensato? Ho pensato che da quel torace tisico, da quei polmoni che non dovevano esser più grandi di due spugnette da cucina, fosse impossibile cacciar fuori un urlo di quelle dimensioni. Un urlo da strappargli la bocca, letteralmente. E, prima che arrivasse l’addetto alla sicurezza ad afferrarmi da dietro, sotto le ascelle - in modo comunque facile, dato che io non ho opposto alcuna resistenza perché avevo appena concluso quello che avevo intenzione di fare, ovvero scuotere l’impiegato - ho ripetuto: - State calmi, non scomponete la fila, sennò siamo punto e a capo.
  • Opinabile? Certo, ma erano giorni – ormai lo sa perché ha riletto la documentazione più volte e analizzato ogni mia parola riguardo all’argomento, erano giorni, dicevo, che mi recavo alla poste cercando di fare il mio dovere, una cosa semplice e banale come pagare un bollettino.
  • Un senso di colpa? Sì, lo ammetto. Ho sbagliato. Ho sbagliato ad attendere così tanto per andare a pagare il bollettino: era scaduto già da dieci giorni e ogni volta, un inghippo; le solite cose: una scadenza che vede i soliti imbecilli ridursi a sbrigare i pagamenti l’ultimo giorno. Sa cosa mi viene in mente, a volte, a proposito delle scadenze? E non solo ora, dopo l’accaduto, ma spesso in passato, ho avuto tali pensieri: la gente del mio paese – tutti quanti, nessuno escluso – ha aderito, anni fa, ad un accordo di cui tutti erano a conoscenza tranne il sottoscritto. L’accordo… sì, ora glielo illustro, è semplice: fare in modo di arrivare al giorno della scadenza dei vari canoni, rate, tasse e riscossione delle pensioni e darsi appuntamento, tutti insieme, lo stesso maledetto giorno, e andare alle poste. E io che mi ritrovo davanti file sconfinate di persone, degli “idioti dell’ultimo giorno”, come li chiamo io. Tutti questi anziani... Mia moglie mi prende in giro quando li chiamo così. Mi dice che anche a lei, anche a me è capitato di ricordarsi all’ultimo minuto di una scadenza. Ma - e ascolti bene che è importante – io le ribatto sempre che tutti gli altri lo fanno con studiata precisione, con intenzionalità, se mi capisce. Lo fanno apposta. E lei smette di parlare della cosa e allora per me quello è il segno che ho ragione io. Non sa che dire, Paola. Paola è mia moglie, sì.
  • I vecchi, dicevo, che arrivano a frotte, per primi, prima addirittura dell’arrivo del personale, mentre negli uffici sono ancora in corso le pulizie, la colpa è pure di questa gente che non ha niente da fare tutto il giorno. Vecchi che – ci scommetto – dalle vetrate ampie e luminose si attardano a guardare le donne delle pulizie vestite di blu - blu come la bic, ora che ci penso - donne nelle loro infagottanti uniformi blu e che si differenziano dagli enormi sacchi neri e lucidi solo per il fatto di essere contenitori vivi. Qualcuna è più grossa del sacco che ha appena finito di riempire e io credo che questo non sfugga agli occhi dei vecchi più svegli e arguti, quelli che ancora non hanno consegnato tutti i loro neuroni alle varie malattie tipiche da vecchio, le malattie necessarie per morire.
  • Suvvia, la maggior parte di loro, lo sa benissimo, è un intralcio: si muovono piano, le dita artritiche aumentano i tempi necessari all’estrazione del bollettino dalla borsa pitonata e rigida o dal borsello floscio appeso di traverso sulla spalla. E la vista che impedisce di raccogliere e distinguere le monete. A proposito delle monete, la colpa è pure della Zecca di Stato, che diavolo è tutta questa marea di monetine? Passi per gli euro: è semplice, lo capisce pure un lattante: moneta grossa, due euro, moneta piccola, un euro. Ma i centesimi… cinque, due, addirittura un centesimo! Pensare che anni fa c’è stato anche il periodo delle lire in miniatura, ricorda? Follia pura. E questi vecchi con le cateratte, i glaucomi, la presbiopia, il diabete, la miopia e le palpebre cascanti a coprire l’arco visivo, come possono trovare le monete necessarie in tempi ragionevoli?…
  • No, no, non finisce qui. Non si sontano, nei giorni passati – quando ho tentato di pagare questo famoso bollettino – i disagi cui sono stato sottoposto.
  • Un giorno, sono dovuto letteralmente fuggire per colpa di un tizio sui trentacinque il cui alito aveva un odore innominabile. E certo, dove poteva trovarsi questo tizio? Proprio dietro di me, il suo alito di chiavica sull’orecchio destro. Ho cercato di contrastarlo annusandomi, tutto il tempo, il polsino della camicia sul quale spruzzo sempre, ogni mattina, un alito di profumo. Obsession, di Calvin Klein, il mio preferito. Perché sorride? Ah, dice per la curiosa combinazione del nome del profumo e la mia presunta ossessione paranoica? No, si sbaglia. Io non ho ossessioni, mai avute, a parte il Milan. Ma torniamo a noi, non ho mica finito.
  • Un altro giorno, una signora si è sentita male. È vero che l’ufficio era caldissimo e l’aria viziata ma dico io: questa maledetta ignorante non ha mai girato per uffici? Non si è mai accorta che gl’impiegati, e soprattutto le impiegate, vanno in giro vestiti come fosse primavera tutto l’anno? Non ha mai notato le mezze maniche di camicia, le scollature a novembre? La finezza dei tessuti a febbraio? E allora quale cazzo… mi scusi, quale motivo aveva questa benedetta donna di attendere il suo turno in pelliccia? Addirittura con i guanti e il cappello ancora infilati, nonostante fosse più di mezz’ora che aspettava il suo turno? E l’impiegato – sì, proprio l’impiegato vittima dell’accaduto – come un fulmine si era alzato dalla postazione, aveva fatto il giro e si era precipitato sull’ammasso di pelo svenuto a terra, tutti gli altri presenti a commentare, portarsi mani alla bocca, iniziare a lamentarsi dell’eccessivo calore dell’ufficio, a tirar fuori cellulari per chiamare dio solo sa chi, mentre io… Sì, le sto appunto dicendo a cosa pensavo, in quel momento: io pensavo che essendosi la fila tutta scomposta e non ricordando esattamente la conformazione e il numero delle schiene avanti a me, ho pensato che fosse andato tutto in vacca, che fosse meglio andarmene e ritornare l’indomani.
  • Perché non sopporto l’inefficienza e il pressappochismo, io. Alla fine il bollettino l’ha pagato Paola. No, non ho altro da aggiungere, se non che ho avuto per giorni dolori sotto le ascelle indolenzite: l’addetto alla sicurezza ha un po’ esagerato, per me, poteva contenersi un po’, non ho mica opposto resistenza, io. Non sono pericoloso, in situazioni di normalità, io.
  • No, non sono pericoloso, normalmente.

Il primo post...


... non si scorda mai.