giovedì 26 febbraio 2009

Le solitarie recensioni di Olga - Richard Yates


Venerdì scorso un incontro casuale in libreria con un paio di amici mi ha portato a comprare questo libro. Una coincidenza, perché mi trovavo sola, in quella libreria, sola in mezzo a tante parole, sola a riflettere sulla mia solitudine e... tutte cazzate: stavo lì, indecisa se comprarmi "La scopa del sistema" di Wallace o "Amore 14" di Moccia! E indovinate cosa ho acquistato? Esatto, mi dispiace, ma dopo aver lasciato a pag 17 "Scusa ma ti chiamo amore" (non ho speso una lira, grazie a Big Head, tiè!), e aver ringraziato gli dèi di non avermi dato il talento e la calvizie di Moccia, mi sono tuffata su David, il mio mentore.
E, per sfregio alla mia solitudine, ho accettato il consiglio di quel ragazzo e mi sono comprata un po' di solitudine in più. Giusto perché di solitudine non si è mai sazi.
Ma meglio la solitudine che certa robaccia sull'amore stereotipato e pieno di cliché e di oggetti di marca e di errori di sintassi...

Il tema è universale, la solitudine.
Non male il modo in cui Yates tratta il tema della solitudine, soprattutto nel disegnarne i protagonisti, ma sulle storie mi è rimasto l'amaro in bocca. Mi viene in mente la solita immagine di me che chatto con Hugh Jackman e poi mi ritrovo a flirtare controvoglia con Calderoli (qui urge un supporto psicologico accompagnato dai filtri della dea Chimica, mi sa, basta co' sti due...). Finita una storia, rimanevo lì a chiedermi: -Embé? Tutto qua?
Certi racconti di Yates sembrano quelle disperate ore di petting che finiscono poi con lui che ti dice: - Mah, fermiamoci qui, tra poco inizia la Champions, devo andare.
E tu che rimani lì a bocca aperta ( e forse ancora occupata...).
Ovvero, 11 protagonisti eccezionali in storie non sempre esaltanti.
Ma forse la colpa non è di Yates, è mia: chiedo troppo a queste 11 storie, chiedo di arrivare fino in fondo, quando invece mi dimentico che a volte del sano e inconcludente petting è comunque una bellissima esperienza (sì, certo, mi ricorda un po' la favola della volpe e l'uva, ma glissiamo...).

Bellissimo però il racconto finale, "Costruttori", ma soprattutto perché lì ci vedo una solitudine a me molto cara: quella dello scrittore. E la chiosa:
"E dove sono le finestre? Da dove entra la luce?
Bernie, vecchio amico, perdonami, ma per questa domanda non ho la risposta. Non sono neppure sicuro che questa particolare casa abbia delle finestre. Forse la luce deve cercar di penetrare come può, attraverso qulche fessura, qualche buco lasciato dall'imperizia del costruttore. Se è così, sta' sicuro che il primo ad esserne umiliato sono proprio io. Dio lo sa, Bernie, Dio lo sa che una finestra ci dovrebbe essere da qualche parte, per ciascuno di noi"
(R. Yates, Costruttori, da Undici solitudini)
Pura luce.

Io so che a volte sono un muro circondato da muri. E che per fare entrare un po' di luce, devo per forza aprire una breccia o almeno provocare una crepa.

p.s.
a quel ragazzo ho consigliato Dave Eggers, "L'opera struggente di un formidabile genio", e lui l'ha comprato. Ora, non so se è coincidenza, ma anche il libro di Eggers è stato petting, per me. Niente orgasmi. E in più, è come fare petting con uno che si crede Wallace (Jackman) e invece è solo Eggers (Calderoli). Mi sa che perderò un amico ... e vai di solitudine! Inconsciamente coerente come sempre, Olga...

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