domenica 15 febbraio 2009

Frankie Succhialo (La briciola)

FRANKIE SUCCHIALO

C’era qualcosa di singolare nella figura di Frankie Succhialo, in particolare negli occhi. Certo, aveva assurdi capelli rossi a caschetto, il che è strano per un uomo sulla quarantina abbondante; quei capelli gli davano l’aria di un ragazzone che stesse dimenticando di crescere e se aggiungiamo anche la sua voce… beh, una voce non proprio da uomo, direi una voce senza torace, non so se mi spiego. Comunque, per farla breve. Erano gli occhi. I suoi occhi erano troppo vicini. Un bel colore, quel verde oliva screziato di marrone e giallo oro, ma così vicini. Le dirò, ma l’ho già detto chissà quante volte, Frankie mi faceva orrore. Mi repelle tutt’ora pensare alla sua voce, ai suoi occhi che mi spogliavano in ogni occasione, sa… una donna certe cose le avverte e io avvertivo i suoi occhi vicini e stretti; erano come mani sudice che palpandomi mi lasciavano addosso umide scie di sudore. Ricordo che comunque raramente mi fissava a lungo, il suo sguardo cadeva sempre un po’ più in basso – esatto, sul mio seno. Proprio come sta facendo lei adesso.

Non si preoccupi, avvocato, è normale. Il suo sguardo lo reggo, lo vedo che è istintivo, casuale e non allusivo come quello di Frankie Succhialo. Davvero, è tutto ok. Bene, dato che abbiamo poco tempo, continuo. Frankie e il mio… Frankie e George erano soci ed amici. Oddio, amici; diciamo che condividevano lo stesso mondo. Immagino che, potendo scegliere, nessuno dei due avrebbe scelto l’altro. O forse Frankie sì: lui sapeva come approfittarsi di una persona buona ed era abbastanza intelligente e scaltro da capire che uno come George generoso e altruista, poteva fargli comodo. E gli faceva comodo, George. Eccome! Il lavoro sporco lo lasciava a lui. Intimidire gli altri. Riscuotere il denaro. Spaventare la gente. George era bravo in questo, ma io penso – e glielo dissi pure, in svariate occasioni – che più che altro fosse un bravo attore e un solerte professionista.
George non faceva del male a nessuno, ci tengo a precisarlo. Ma agiva per gratitudine. Frankie lo aveva tirato fuori dalla miseria, undici anni fa. Undici anni…. Mi scusi, ero sovrappensiero.

Dicevo, George era un pezzo di pane e quelli della banda lo sapevano: non rifiutava mai un lavoretto, mai una volta che si fosse tirato indietro dal sacrificarsi per la banda. Ma ad un certo punto arriva il problema e le chiedo di pensare alla geometria, avvocato. La prego, poi capirà.
Immagini che i personaggi A e B siano Frankie e George. Due punti uniti da una retta. Il problema necessita di altri dati e ora io glieli do, avvocato: C e D. C era Cecilia, la moglie di Frankie e D ero – sono – io. A questo punto, chiederei all’allievo alla lavagna: come unire i 4 punti? Beh, glielo dico io, avvocato: George era innamorato di Cecilia, io di George, Frankie era invaghito di me e Cecilia si scopava A e B. Alza un sopracciglio, vedo. La capisco, A, B, C, D iniziano a ballarle nella mente vero? Un curioso, assurdo, patetico balletto di puntini.
Per farla breve, A scopre B a letto con C: ecco, questo è il punto di partenza. E io amo male, si ricordi di questo. Io amo male e per questo è successo tutto quanto. Ecco perché io e lei stiamo qui a parlare. Chi ci vedesse, ci scambierebbe per una coppia, quasi, se non fosse che lei è così elegante e io invece nascondo tutte le mie curve – le curve che facevano impazzire Frankie, ma non George, purtroppo – in questa tutaccia, questa divisa azzurra. Ha mai visto questo tipo di azzurro? In 38 anni di vita, giuro, che non mi era mai capitato. Azzurro carcere, un’ironica variazione all’azzurro cielo, che del carcere è proprio la negazione, no? Ma lo guardi bene, ha mai visto un azzurro simile? Sembra morto. E ce ne vuole per far sembrare l’azzurro un colore morto…. Sì, mi scusi. Sì, ho notato che il suo sguardo palleggiava dal mio all’orologio sulla parete. Lei ha molto da fare, fuori. Ma se io divago è perché lei mi rappresenta, giusto? E lei deve sapere tutto. Sono dell’idea che chi mi difende deve mettersi addosso i miei panni, altrimenti non arriveremo mai ad una strategia efficace. Grazie. Sì, lo so, mi dicevano tutti che dovevo fare la psicologa o l’insegnante o … no, l’avvocato no, tutti quei codicilli, la memoria non è una mia grande alleata.

Ma ricordo tutto di quel periodo. Frankie Succhialo non fece nulla contro George. Anzi, sembrò passarci sopra lieve come una farfalla, nessuno scossone, solo quello sguardo freddo e il sorriso obliquo, mentre rassicurava George. A fargli discorsi del tipo: Siamo uomini, eh, che ci vuoi fare e Cecilia è stata sempre un po’ troia. Sono sicura che godeva nell’insultare la moglie davanti a George; il fedifrago lo guardava con occhi da vitello o da cane bastonato, scelga lei l’immagine che preferisce. Un animale ferito e offeso, comunque. George, il mio amato George, era perso dietro a Cecilia, ma non si sarebbe mai sognato di prendere le sue difese di fronte al marito. Forse George, pur amandola, sapeva bene chi fosse quella donna.

Io parlavo molto con George. Era l’unico modo per poterlo amare - di nascosto, beninteso, a senso unico, certo, ma comunque in modo un po’ intimo. Le nostre chiacchierate al bar, quante belle discussioni quando si metteva seduto sul bancone e quegli splendidi occhi neri, mentre lui mi diceva: - Pa, un whisky bello torbato e un bicchiere d’acqua, tesoro! E sempre un Grazie alla fine di ogni richiesta. Come potevo non amarlo? Ma io amo male, ho il meccanismo inceppato dentro, lo so, è sempre stato così. George aveva intuito la mia passione, e più la respingeva e più io lo amavo. Perché? Perché amavo il modo in cui i suoi occhi tristi e la sua voce pacata e un po’ nasale mi negava il suo interesse. Strano, avvocato, non mi era mai capitato prima: mi pareva che pur non amandomi, mentre sorrideva ai miei complimenti e alle mie allusioni, mi regalasse comunque una briciola d’amore. Conosce un po’ la mia vita, ce l’avrà condensata lì in quei fogli nella sua bella cartella di pelle e quindi saprà che ho avuto una vita arida e avara. E allora avrà capito che, dopo una vita di calci e pugnalate alla schiena, un sorriso per me ha il valore di una… promessa, di un sogno. Giusto, è come dice lei: quando il pane è scarso, ogni briciola è pagnotta. Sono contenta che abbia colto questo lato di me. E comunque riconosco che è un modo malato di amare. Pensi, sono arrivata a deificare pure quella donna, Cecilia. Perché gli occhi di lui, quando la vedeva… avrebbe dovuto vederlo! Si scioglievano, diventavano liquidi e il suo sorriso, un fiore che sbocciava, che si apriva alla luce del sole. E io, per lui, avevo iniziato a farne un mito, di Cecilia. Se lui l’amava così tanto, doveva avere qualche rara virtù. Solo ora, solo dopo tutto quello che è successo e solo nella solitudine della mia cella ho aperto gli occhi. Mi passi il termine, quella era solo una squallida puttana che votava fedeltà solo al suo ego spropositato.

Nelle notti solitarie, prima del fattaccio, non sa quante notti ho passato cogli occhi gonfi. Lacrime che sembravano non finire mai, a chiedermi perché, perché nella vita succede che A ama B, ma B ama C… tanto per tornare alla geometria. Lei si occupa di penale, chissà quanti crimini e in quali forme…. Sì, non mi rendo conto, ha ragione lei. Ma la cosa peggiore, mi creda, è l’amore non corrisposto. Il crimine più grosso. Non lascia cadaveri sulla strada, di norma, eppure, come vede se io e lei siamo qui, ora, è perché a volte l’amore malato porta alla morte.
Sto diventando troppo sentimentale, ma mi permetta di pregarla: mi aiuti a svuotare il secchio. Quale secchio? Quello che ho nel cuore. Forse non lo merito - proprio io! - ma mi aiuti e io collaborerò al massimo con lei. E comunque, finisco con questa faccenda dell’amore: il mio amore era sbagliato, quello di George anche, ma comunque si andava avanti. Nonostante tutto, le ricordo infatti che Frankie lasciò morire lì la cosa.

Ma sarà che io ho avuto sempre a cuore la situazione di George e ho sempre cercato di proteggerlo e lui, forse perché aveva bisogno di sfogarsi con qualcuno, mi raccontava tutto. Ed elogiava Frankie per il suo perdono, diceva che l’amicizia è il sentimento più forte. Ma mentre lui mi parlava, io sentivo una sirena dentro di me. Sì, esatto, come un’ allarme: attenzione, pericolo! George scuoteva la testa e sorrideva – quel sorriso, Dio, ce l’ho nel cuore anche ora! - dicendomi che ero malfidata, che Frankie da vero amico aveva chiuso un occhio. Ecco, chiudere un occhio, ripeteva George. E allora io mi sentivo stringere lo stomaco al pensiero di quegli occhietti porcini, così vicini. Io non la vedevo la bontà, in Frankie. E neanche il perdono. Ma potevo preoccupare George? No, quando lo vedevo lasciare il locale o mettersi a chiacchierare o giocare a carambola con gli altri soci, così tranquillo e disteso, ero felice per lui. Dentro di me pregavo che avesse ragione. Lo amavo silenziosamente e mi prendevo cura dei suoi pensieri senza interferire mai, senza mai chiedere nulla. Lo vede? Ho ragione io: amo male.

Torniamo agli ultimi giorni. Frankie aveva preso a ronzarmi intorno più del solito. Sa, era diventato come l’afa di luglio: appiccicoso, fastidioso, mi lasciava senza respiro. Dopo i suoi lunghi sguardi, avevo sempre voglia di fare una doccia. Lei è un uomo, avvocato, non credo che possa capire. Comunque, occhiate, battute, allusioni, a volte inviti espliciti – quando si spingeva un po’ troppo in là lungo Rhum Road, se m’intende. E io, gentile ma ferma. Ma più ero ferma e più lui insisteva e io mi trovavo in imbarazzo e il mio capo, Sam, lo sapeva. Samuel è un brav’uomo, ma è soprattutto un brav’uomo d’affari: per lui il cliente – e soprattutto un cliente come Frankie – veniva prima di tutto, soprattutto prima di una banale e insignificante donnetta senza arte né parte come me che aveva come uniche doti un bel seno e tanta dolcezza. Ecco, scherzando a volte Sam mi diceva: - Gli uomini cercano solo tette e dolcezza e qui devono trovare tutto ciò, sennò addio affari. E tu sei questo, Pa: tutta tette e dolcezza
Ma non era un porco, non lo giudichi, Sam. Sono sicura che se la situazione fosse degenerata non avrebbe esitato a difendermi. Sam era come un padre per me, se non capisce quanto sia importante per me questo, si rilegga la mia vita condensata: ho perso mio padre a 10 anni. Logico che avrei passato il resto della mia vita a cercarne un altro. George, lui sì che avrebbe potuto… mi scusi. Sì, dell’acqua è quel che mi ci vuole… ha un fazzoletto? Ok, ora mi passa.

Frankie Succhialo – il nomignolo gli viene da fatto che ad ogni lite, alterco o discussione, concludeva sempre con quel gesto, sa… si metteva la mano destra a coppa sull’inguine e invitava l’avversario a succhiarglielo, lo faceva anche quando scherzava, ma io non l’ho mai trovato divertente - dicevo, Frankie Succhialo aveva un potere: trovare in un batter d’occhio il tuo tallone d’Achille e una volta scopertolo, nel caso gli fosse convenuto, iniziare a punzecchiarlo. Piano piano, ma un lento lavorio che alla fine ti portava a zoppicare per il dolore. Ci guadagnava sempre qualcosa, sempre. Beh, tranne che… ok, stringendo, aveva scoperto il mio amore per George; si vede che allora non sempre scambiava i miei capezzoli per occhi, a volte era nei miei veri occhi che indagava. E io, da perfetta timida – da perfetta idiota, mi dico ora – negavo e arrossivo, ovvero confermavo. E forse fu per questo che iniziò a starmi addosso come una giornata di luglio in pieno deserto. Forse anche per rendere la pariglia a quella debosciata di sua moglie, non saprei… non gli mancavano le donne. Non mancano mai le donne quando ti presenti sotto forma di grosso assegno, no? Ride, avvocato? Sì, sono ingenua e timida, ma conosco la vita, avvocato, e riconosco il tipo di donna che ronza intorno a gente come Frankie. E ora arrivo a spiegarle come successe il tutto.

Una sera – una sera di quelle in cui c’è fiacca nel locale, ma la musica è comunque pimpante e i bicchieri di quei pochi è sempre lì che chiedono una rimboccata – Frankie è seduto sul bancone. Io asciugo i cucchiaini. Insieme a Frankie c’è il suo braccio destro, quello che tutti considerano la mente, Paul. Un tipo chiuso, enigmatico, forse pericoloso, non so. A me non ha mai dato fastidio. Anzi, ora che ci penso, lui non mi ha mai notata. Ed è un bene, considerato il tipo di posto in cui lavoro.
E – mentre sono lì assorta a rimirare l’immagine rimpicciolita e deformata del mio viso sulla parte convessa di un cucchiaino lungo, di quelli da cocktail, e mentre la musica ha un attimo di pausa prima che parta la terza traccia, mi ricordo benissimo che era un cd di Barry White – sento partire il colpo. No, avvocato, nessuno sparo. No no, nessuna nuova rivelazione, i fatti sono come lei li legge nella documentazione. Mi scusi, a volte esagero con le metafore, le similitudini. Certo, proseguo: il colpo è stata la frase: - Sì, lasciamo che George si tranquillizzi, che abbassi le difese e poi vedrà. Lo uccido, quant’è vero Iddio!

La testa inizia a girarmi. I due ridacchiano con complicità e poi vagamente ricordo che passano ad un altro argomento, qualcosa che ha a che fare con un’occhiatina allo scalo merci nel porto, il giorno dopo… non ricordo altro. Ricordo solo che il cucchiaino mi scivola di mano e che prima di cadere mi offre l’immagine di me con la bocca serrata e gli occhi sgranati. Frankie si volta verso di me chiedendo con voce canzonatoria: - Che c’è, piccola, è l’emozione per avermi sotto i tuoi occhi? E Paul che appoggia la battuta sghignazzando – non l’avevo mai sentito ridacchiare così, pareva un gessetto sulla lavagna – mentre io rispondo senza pensarci: - Sì, dev’essere senz’altro così… e allora Frankie diventa serio e mi fissa, stavolta nessuna sosta nella piazzola delle mie tette. No, una lunga tirata a manetta nei miei occhi. Mi dicevano, quegli occhi porcini, hai sentito tutto. Poi, il vecchio Mark sblocca tutto, venendomi a chiedere un nuovo mazzo di carte: uno dei joker s’era sbucciato, non si poteva più giocare.

Ecco, quello è stato l’innesco. A cose fatte, mi chiedo se non l’avesse fatto apposta. A farsi sentire, dico. Magari voleva solo spaventarmi o addirittura ricattarmi per… mi ha capito. Ma non poteva sapere quanto io amassi George, per quanto lo amassi male. Per qualche giorno, se si conta la differenza data dalle mie notti insonni, tutto procedette nel solito modo. Ricordo solo che una sera dissi a George che avevo paura per lui. Ancora questa storia? mi rimbeccò, bonariamente però, come fossi una bambina colta a rubare le caramelle nel salotto – ecco, questa è una delle cose che mi mandavano in estasi: il suo trattarmi da bimba… mi scusi… sì, ha ragione, avrei dovuto dirgli quello che avevo sentito, ma una parte di me, una parte decisamente ferma e risoluta, mi aveva tappato la bocca. Buona, Pa, mi diceva questa voce nella testa, a suo tempo. Serve che tu stia zitta, ora.

E ora mi rendo conto che in realtà avevo già preso una decisione. Quando arrivo al locale, di sera, mangio qualcosa di leggero lì, un’insalata, un sandwivch di pollo e bevo solo acqua. Niente alcol, non mi piace granché e inoltre io non sono tipo da bere al lavoro. Una sera, invece - quella sera – chiesi a Sam il permesso di farmi un paio di whisky, dicendo che avevo qualcosa per cui brindare.
Sam s’illuminò: - Un amore, Pa? Io finsi pudore e con le guance in fiamme risposi: - Forse… vedremo, Sam. E allora lui lesto a prendere due bicchierini. Era presto, pochi clienti stavano seduti o a giocare o a leggere il giornale o chiacchierare sommessamente.
Ecco, - mi fece - scegli il whisky che preferisci.
Devo sottolineare, avvocato, che scelsi il whisky preferito di George? No, eh? sono certa che questo sentimentalismo le dovrà sembrare fuori luogo, visto da chi proviene, ma deve capire che scelsi quel whisky come … come un simbolo di devozione al mio amore disperato. Ma soprattutto, come rinforzo per quel che avevo intenzione di fare. Senza l’alcol non avrei avuto le forze, avvocato. Michael, sì la chiamerò Michael. E lei mi chiami Pa, anche se sono Pamela, mi chiami Pa come mi chiamavano tutti, come mi chiamava Geor… sì, capisco. Pamela va bene. Allora Michael, deve sapere che l’alcol mi rese euforica. Sam non sapeva che nel frattempo, in mezzo alla confusione del bar affollato e chiassoso, avevo avuto modo di farmi altri due o tre dita di whisky. Sam non poteva accorgersi – preso com’era da certi ricordi che un suo amico di vecchia data gli stava srotolando sotto il naso – di come io, quella sera, puntassi sguardo – e tette, devo ammettere – verso Frankie Succhialo. Frankie sembrava ringalluzzito da certi miei sguardi. No, per favore, non pensi che io sia una… una fatalona, un’esperta di uomini. Io non faccio certe cose, mai presa un’iniziativa verso un uomo, ah, se solo George almeno una volta… no, il punto è che improvvisavo, ma avevo già capito che maschio elementare fosse Frankie: uno sguardo allusivo e già lo si poteva supporre ad immaginarsi la testa di una donna e lui a dire – sì, Michael, ha indovinato: succhialo. Fa ridere, eh? già, anche se è tutto così triste, col senno di poi.

A questo punto devo dire che conserverò sempre dentro di me lo sguardo deluso e rattristato di Sam, il mio capo. Aveva notato con che disponibilità stessi trattando Frankie e con che assiduità lui venisse a chiedermi da bere, quella sera. E quando Frankie – l’irresistibile e megalomane playboy Frankie – alzò di un tono la voce per chiedermi: - Allora, Pa? Quando smonti puoi dirmi quella cosa, io tanto concludo serata qua, Sam, il caro Sam, mi rivolse un’occhiata di rimprovero, come fosse mio padre. O come immagino potesse essere mio padre. Sa, avv…Michael, la memoria mi ha portato via i ricordi su mio padre, ma cogliendo lo sguardo di Sam, mi sono sentita rimproverata e amata come fossi stata al cospetto di mio padre. Chi è poco amato ama male, Michael, eh già…. Ma per la prima volta gli ho restituito uno sguardo fermo e, immagino, buio. Ho visto allora per la prima volta lo spavento negli occhi di Sam, io che non ho mai spaventato nessuno. E mi sono sporta verso Frankie: - Stacco alle due, se per te non è un problema.
Naturalmente, nessun problema.

Fuori era freddo, lui era lì, col bavero del cappotto rialzato e una coppola a coprirgli pietosamente quell’assurdo taglio di capelli, a saltellare sulle punte e a sfregarsi le mani. Aveva lo sguardo rapace e quando mi sono avvicinata a lui, beh, quegli occhi… mi sono sembrati ancor più stretti, vicini, al limite dell’umano. Per farla breve, gli dissi subito d’un fiato: - Ti prego, Frankie, non uccidere George, io lo amo.
Pessimo esordio, eh, avvo… Michael? Ma mi comprende, era tutto più grande di me, c’era una vita in ballo ed era la vita della mia ragione di vita, scusi il gioco di parole. Lui, ovviamente, sbottò a ridere, una risata strana, soffocata, ha presente il verso delle oche mute? Quel hhhaaa hhaaaa. Non è stato mai in campagna, Michael? Lo faccia, prima o poi: la campagna è un regno di pace e gli animali vi abitano come sudditi pacifi… sì, mi scusi, proseguo.

Lui mi rise in faccia e mi disse che certe parole non dovevo mai più farle uscire dalla mia bocca, era pericoloso per me. Poi, serio di colpo, mi chiese lentamente, scandendo le parole: - E tu cosa saresti disposta a fare per quel porco del tuo amore? Avrei voluto sputargli in faccia, ero sdegnata per come mi stava trattando. Ricordo che l’amore e il whisky mi cavarono la frase: - Venire a letto con te tutte le volte che vorrai. Tutto d’un fiato. Lui si fece vicino, si guardò un attimo attorno e mi spiaccicò addosso le sue labbra umide e l’alito che sapeva di alcol. E poi, come se stesse trattando un lavoretto: - Affare fatto, piccola. Dammi il tuo numero, ti chiamo io. Lo trattenni per una manica: volevo la certezza, la sua parola – per quel che poteva contare – che non avrebbe torto un capello al mio George. Lui mi disse che in fondo, a quel bastardo, poteva essere risparmiata la morte, ma che aveva comunque stabilito che io avrei potuto convincerlo meglio andando a letto con lui.

Questo è un punto da chiarire e sottolineare: le confermo che la pistola non me l’ha data nessuno, era la pistola che il buon Sam teneva nel cassetto dei registri spese e dei contratti con i fornitori. L’ho rubata la sera seguente alla telefonata che mi fece Frankie Succhialo, giornata di chiusura del locale e occasione del mio appuntamento con lui. Quello che seguirà, lo ammetto, è imbarazzante, Michael, e forse alcuni particolari potrei tacerli, ma le ripeto che è essenziale che lei si metta nei miei… sì, bene, ha capito.
Sa, non avevo mai sparato in vita mia, ma ricordo che tanto tempo fa, quando Sam me la mostrò, feci mille domande su come si usasse la pistola. Sam sembrava divertito nel vedermi maneggiare l’arma. Col senno di poi, ho capito che ci sono gesti, cose che facciamo che lì per lì non sembrano avere importanza. Cose come togliere la sicura, prendere la mira, puntare…gesti, cose che forse il destino ci fa fare in vista di un’occasione futura che al momento neanche immaginiamo. Cose che ci possono salvare o condannare.

Ecco perché sono arrivata a poter fare quello che ho fatto. E ora arriva la parte peggiore: il sesso con Frankie. Quella sera sembrava un invasato: i suoi occhi porcini mi ballavano su tutto il corpo, pareva gli fosse impossibile fermarli un attimo e ragionare. No, quella sera era un treno. I baci, la saliva addosso. Avevo i brividi, brividi che sicuramente Frankie aveva scambiato per spasmi di piacere. Ogni volta che avvertivo un conato di vomito salirmi su dallo stomaco, mi sforzavo ad immaginare George, George e i suoi occhi, la sua bocca che mi sorrideva, la sua mano che più di una volta mi hanno toccato i capelli in modo così fugace, tenero… mi scusi, mi viene da piangere. Se solo le cose fossero andate diversamente, se solo George mi avesse amata… non tanto come lo amavo io, mi sarebbe bastata una briciola… sì, vorrei fare una piccola pausa, mi scusi ancora. Certo, se apre la finestra può fumare, anzi. Me ne offre una anche a me? Ho iniziato a fumare qua dentro, non so, una sigaretta ogni tanto mi fa compagnia… lo so che il fumo uccide, ma anche l’amore, per questo dovremmo tutti smettere di amare? Anche se amiamo male? … Bello questo Zippo, ne aveva uno anche mio padre. Chissà che fine ha fatto…

Bene, allora siamo al momento in cui lui mi dice che sarebbe andato in bagno, io potevo mettermi comoda sul letto. Entro in camera e faccio il gesto di infilare la pistola sotto il materasso, proprio vicino al bordo e mi stupisco della tranquillità del mio gesto. Come se fosse mia abitudine infilare pistole sotto il materasso, capisce? Quando entra in gioco la determinazione si diventa un’altra persona, vero? Vero, sì. Lui esce dal bagno completamente nudo e quel… quel suo coso lì, duro, quella pelle scura a contrasto con quel corpo bianco, tipico dei rossi. È enorme, devo dirlo e quella presenza così enfatica mi spaventa, ma ormai… ormai il volto di George è sopra tutto, il mio amore fa la magia di sovrapponermelo a quel pene che mi fa schifo e paura. In un attimo mi sfilo l’abito di lana e non faccio in tempo a far riemergere la testa che le sue mani mi premono a coppa sul seno. Lo sento bisbigliare frenetico, mentre la punta del pene inizia a spingermi in basso. Allora, lo trascino sul letto mentre dentro di me, come un mantra, ripetevo: perdonami, George, è per te, perdonami, George, è per te… abbraccio Frankie che intanto mi rovina sopra e mentre sento che mi chiede… sì, ha indovinato, mi chiede di succhiarglielo, io m’irrigidisco: se mi metto a succhiarglielo come raggiungo la pistola? E allora mi concentro e fingo, per un attimo, di essere una troia – perdoni la parola- come Cecilia: lei cos’avrebbe fatto? In un lampo ecco la risposta: abbraccio Frankie stretto me e gli sussurro: - Ok, ma ti prego, prima vieni sopra, voglio sentire il tuo corpo, infilamelo dentro, anche solo un pochino. La mia voce di quel momento, ora non saprei riprodurgliela – lei è il mio avvocato, Michael, mi vergognerei – sembra un canto di sirena e comunque incanta Frankie che addirittura mi regala il suo primo, vero, ultimo bel sorriso da quando l’ho conosciuto. E quando lo sento entrare, il tempo di tre colpi rapidi, la mia mano destra s’infila sotto il materasso, estrae l’arma, la punta sulla tempia sinistra di Frankie e parte il colpo.
Passano secondi interminabili, lui è ancora duro dentro di me, il suo cervello, il sangue, i pezzi di osso e gli sfilacci di vene e capelli mi colano sulla scapola sinistra, sul petto, ovunque, ma – e ascolti bene, Michael – io non ho sentito nulla, anzi, no: una sensazione di sollievo. Sa quando dopo aver trattenuto la vescica ballando sulle gambe troviamo finalmente una toilette e oriniamo per un’eternità e poi alziamo la testa e chiudiamo gli occhi, finalmente svuotati? Ecco. E mi succede una cosa curiosa: apro bocca e dico al morto: - Succhialo, Frankie!

E ho avuto la netta sensazione di non essere sola; sentivo che George era lì, a sorridermi con quegli occhi buoni, sentivo la sua mano sui capelli e la sua voce a sussurrarmi: - Non ti preoccupare, Pa.
E, di colpo, fiumi di lacrime. Sì, Michael, ho iniziato a piangere, a piangere e mi sono resa conto che più piangevo e più avrei continuato a farlo. E ho pianto per George, per Frankie, per tutta la mia vita, per l’amore malato, per mio padre mancato, per le botte, per gl’insulti e le ingiustizie e la mia solitudine, per un attimo ho pianto – da sola – le lacrime del mondo intero. Poi, con la stessa rapidità con cui erano venute, le lacrime sparirono. Avevo freddo, lì, nuda, con ancora il corpo caldo di Frankie addosso. Lentamente, mi sono alzata, mi sono sciacquata in bagno e mi sono vestita. E sono uscita, all’aria frizzante della notte. Fuori aveva appena iniziato a gelare, ricordo che mi sono messa a grattare il gelo dal corrimano in ferro battuto dell’edificio dove abitava Frankie Succhialo.

E poi mi sono messa a camminare leggera, senza peso, solo lui dentro di me, George, colui che avevo salvato. E ho sorriso per tutto il tragitto fino alla centrale di Polizia. È stata una lunga, lenta e bellissima camminata, non ho avuto freddo per niente. Infatti, come lei stesso mi fa notare, l’addetto allo sportello della centrale ha riferito che sorridevo mentre gli ripetevo di aver ucciso un uomo. Sì, mi rendo conto che non depone a mio favore, ora lo so. Ma ora lei sa perché sorridessi. Avevo la pace, dopo una vita senza riposo. No, non ho più visto nessuno, so che Sam ha fatto richiesta di potermi fare una vista, anche di cinque minuti, forse in settimana glielo permetteranno. E George, mi chiederà?
Le dirò: io non ho notizie di lui, immagino che sia stato indagato per i suoi affari, ma sono sicura che se la caverà… lui è buono. Non lo vedo da molto prima del fatto, ma proprio stamattina mi hanno consegnato una sua lettera. Ovviamente, è stata già ispezionata, dunque non dovrebbe esserci niente di che, nella lettera. Ma sa una cosa, Michael? Io non l’ho ancora letta. La tengo lì, perché adesso non è il momento, è una cosa che il destino mi sta dicendo di non fare ora. Arriverà l’occasione giusta, lo so. Nel frattempo, la guardo, la rigiro. La rimiro, l’annuso, me la stringo al cuore, la bacio, la tengo sotto il cuscino come se fosse – e lo è – la cosa più bella che abbia ricevuto in dono in questi lunghi anni. Un giorno la leggerò.
Verrà il momento giusto… come è stato per la pistola di Sam. Intanto, per il solo fatto che la posseggo, mi sento fortunata.

Certo, è stato un piacere collaborare, sono a sua completa disposizione, Michael e … non faccia così. Ha lo sguardo serio, gli occhi umidi… certo, lo so che qui vige la pena di morte, ma abbiamo considerato le attenuanti? Ora tocca a lei trovarle, nella mia lunga confessione. E poi, le ripeto, comunque andrà a finire, quella lettera mi ha già salvato, così come io ho salvato colui che me l’ha scritta. Certo, semplicemente una lettera, ma sa com’è, per chi ha avuto poco pane, una briciola è pagnotta…

Grazie, Michael, buona fortuna anche a lei e buon lavoro.

1 commento:

  1. ieri sera ero sola in casa e mi è tronato alla mente un breve sogno: in un bar pieno di sconosciuti, George Clooney sta bevendo un whisky, è allegro, ride e scherza con tutti, tranne hce con me. M'ignora completamente e io sto in un angolo a piangere. Si avvicina un tipo dall'aria viscida che mi dice: - Piangi per lui, eh? ma tanto adesso lo uccido.
    Io, terrorizzata gli urlo: - No! Non ucciderlo, io lo amo!
    E continuo a piangere.
    Fine del sogno.

    E pensare che a me George Clooney non piace per niente...

    Scrivere è fuggire, ora lo so. In quelle due ore (22.30- 00.30)tutto il dolore e tutte le persone che me l'hanno procurato sono sparite. Ero sola, ma nello scrivere la solitudine, il dolore e la tristezza erano sparite, puf! come in un sogno.

    Scrivere per me è fuggire senza essere vigliacchi. Scrivere è urlare, anche se è come urlare al muro 8 eio ultimanete sono circondata da spesse mura...)

    Avrei preferito Hugh Jackman, comunque: altro che briciola. Una bella, fragrante pagnotta!
    Ma non si comandano i sogni...

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