lunedì 2 febbraio 2009

Lettera C


- Comodo, comodo – disse il Capo entrando a grandi falcate nell’ufficio. Il ragionier Adami si stava giusto alzando dalla poltrona per stringere la mano al suo superiore, ma quell’invito lo bloccò, costringendolo a rimettersi subito seduto.
- Mi scusi un attimo, faccio una telefonata. Le faccio servire qualcosa, intanto?
- No, grazie, non ho sete - mentì Adami, la gola asciutta come il deserto.
- Non faccia complimenti, a meno che non si tratti di complimenti alla mia persona, hahaha!- ragliò con evidente sarcasmo il Capo - Lei sa quanto adori essere idolatrato – aggiunse serio in volto.
Adami si sentiva a disagio sulla poltrona e in quell’attimo ebbe la netta sensazione di avere un corpo di troppo: non sapeva dove mettere le mani, le gambe gli sembravano invadenti, eccessivamente lunghe e sgraziate; i muscoli tesi del culo parevano poter scattare dalla poltrona ad ogni minimo rumore, lo stomaco rumoreggiava, anzi rombava nel silenzio dell’ufficio. Le orecchie gli ronzavano come vespe.
Maledetto succo di mela a digiuno! – pensò Adami tra sé e sé – mi fermenta nello stomaco e ‘sto stronzo gorgoglia e gorgoglia e il cuore tra poco mi esce dalle orecchie!
Il povero Adami si ritrovò in quegli istanti protagonista di un balletto di cosce e nervi appena percettibile, ma costante: la coreografia del disagio, accompagnata dalla musica dei suoi organi interni.
Mentre il suo Capo era intento al telefono ad ascoltare assorto con gli occhi a fessura, attento a captare anche le virgole, Adami si guardò intorno. Quell’ufficio enorme non era mai lo stesso ufficio; ogni volta che Adami era stato ricevuto dal Capo, l’arredamento e la disposizione del mobilio era sempre diverso. Come pure il suo superiore, che si presentava spesso vestito come non te lo aspettavi e con strani tagli di capelli, di baffi o barba, ogni volta differenti.
- Ok, arriviamo a noi, – disse il Capo, inclinando leggermente la testa sulla spalla destra, e sorridendo ampiamente, ma solo con la bocca – si aspettava di essere convocato, Adami?
- Beh… - pigolò con voce malferma il sottoposto – mi rendo conto di essere in una posizione critica, posso solo dire che presumo di aver sbagliato e-
- Lei non ha sbagliato. Lei ha peccato – concluse secco l’altro.
Adami si fece rosso, si morse l’interno della guancia sinistra e sbatté più volte le palpebre, come una donnina adulata o come un bimbo colto in flagrante e in cerca di una salvifica bugia. Poi, dimenandosi leggermente sulla sedia, prese coraggio e osò parlare:
- Mi consenta di dirle che non era mia intenzione cedere, ma la signorina Evelini mi è sempre parsa una gran lavoratrice, onesta e dedita, perciò non potevo credere che quello che mi proponeva in quella mail fosse così… non so come dire… disdicevole.
- Il fatto è che voi inferiori ogni volta vi dimenticate di essere tali e volete…- il Capo fece una pausa guardando sopra di sé – prendere il mio posto e giudicare cose e persone. Lei sa che, come da contratto, alla fine sono io quello che giudica, no? Ecco, voi lo dimenticate e tutte le sante volte, sbagliate nel giudicare e peccate di conseguenza.
Il superiore tacque, mantenendo per un attimo lo sguardo fisso sull’uomo che, nel frattempo, si era quasi ristretto sulla poltrona, gli occhi che guardavano verso terra, passando rapidamente su cosce, palle, caviglie e scarpe e infine moquette.
- La Evelini è un’ottima impiegata; da quando c’è lei in questa azienda, i caffè sono impeccabili, quasi quanto le sue fotocopie – riprese il boss con una voce la cui pacatezza per un attimo risollevò lo sguardo di Adami e gli regalò l’illusione di una tregua - Ma ha il difetto di essere moralmente una cagna. Ha presente, una cagna? – proseguì.
- Sì – fece Adami – la cagna è un animale docile, affettuoso, bisognoso di carezze, coccole e-
Cazzo. – concluse secco, il capo.
Adami si bloccò, quella parola era risuonata istantanea e brusca, come uno sparo. Stava per avere le lacrime agli occhi, se li sentiva pizzicare. Si concentrò sullo sperone dello stivale della gamba destra che il capo, nel frattempo, aveva appoggiato sulla scrivania e questo lo aiutò a riprendersi momentaneamente. Stai calmo, stai calmo, iniziò a sussurrarsi il povero ragioniere, andrà tutto bene, vedrai e anche per la povera Iva andrà bene, il Capo a volte tuona minacce, ma spesso è un bonario padre, peccato la sua totale imprevedibilità e la luna di traverso, un giorno regala sorrisi e sogni, il giorno dopo mette il broncio e ha il culo storto, a volte mi viene il sospetto che più che un padre e un capo, egli sia solo un bimbo capriccioso dagl’immensi poteri e questo mi getta a terra così tanto che certe volte la mattina vorrei poter rimanere a letto, da solo, senza vedere nessuno , tranne la piccola, dolce e sensuale Iva che con baci e carezze mi fa scoppiare di piacere e di felicità, soprattutto nelle zona del-

- Cazzo, ha capito? Ma mi ascolta, Adami? – chiese il Capo corrugando la fronte.
- Sì, mi scusi – rispose rapidamente il ragioniere, raddrizzando la schiena.
- Allora, se ho ben capito, riepiloghiamo: la docile e affettuosa Evelini, impiegata giù al primo piano, le manda una mail dove dice… lo dica lei.

Adami improvvisamente sentì un fiotto di rabbia salirgli in gola: il Capo lo stava chiaramente provocando, sfottendo. Ma, impotente come sempre, Adami ingoiò l’amaro sputazzo di bile e disse con lentezza, misurando le parole e chiudendo gli occhi: - Una mail che dice “Caro, ho trovato un posticino meraviglioso per il nostro appuntamento romantico di cui parliamo spesso! Sai, sento che lì potremo andare oltre le solite cose che facciamo insieme, nella tua stanza. È così triste, la tua stanza e mi sembra che tutte le volte che stiamo insieme lì, qualcuno ci osservi. Invece in questo posto, un giardino delizioso a pochi chilometri da qui, c’è pace perché non c’è nessuno. Ci sono capitata per caso, inseguendo uno strano animale che strisciava per terra, sai, non avevo mai visto una animale simile e io, che sono una terribile curiosona… comunque, vabbé. Allora, in questo giardino c’è uno splendido melo che sovrasta una bella panchina in ferro battuto e mi sono detta, stamattina: ti ci voglio portare, è un regalo. Voglio regalarti un giorno di gioia, di piacere e di pace sotto quel bellissimo melo.

Tua, Iva”

- Congratulazioni alla sua memoria, ha citato anche le virgole!
- L’ho riletta mille volte, Signore.
- Perché mai? – chiese il Capo, alzando il sopracciglio destro.
- Perché è una lettera bellissima, come … come la signorina Evelini – rispose tremante Adami.
- Ecco, ci ricascate tutte le volte: vi fate ingannare dall’apparenza delle cose e dimenticate la sostanza dei miei dogmi. Vediamo di troncarla presto, mi sto annoiando e ho altre migliaia di cose da fare. Sia detto tra noi – si tese in avanti il Capo, con voce più calma, quasi confidenziale – ho tanto di quelle cose da fare che mi tocca lavorare pure la domenica, ma sto seriamente pensando di farmi dare una mano anche da voi fannulloni e perciò aspettatevi che tra qualche mese non avrete più domeniche di riposo. Mi capisce, è per il bene dell’azienda. E comunque, tornando a lei – disse il Capo con cambio di tono repentino e battendo le mani sfregandosele energicamente – lei ha commesso un peccato mortale, entrando nel mio giardino. Quello è il mio giardino, e lei lo sapeva, Adami. Ma quel che è peggio, voi due avete mangiato una mela nel mio giardino! Lei è come tutti gli altri.
- Una mela? – fece perplesso Adami – ma noi non abbiamo mangiato nessuna mela, abbiamo solo passeggiato e ad un certo punto ci siamo seduti su una panchina e abbiamo iniziato a chia-
- Chiavare!- tuonò il Capo battendo un pugno sulla scrivania – Era una metafora, cazzo, ADAMI! Ma secondo lei, quando le dicevo: mi raccomando, attento alla mela, chi dice donna dice danno e chi dice mela dice male e … tira più una buccia di mela che un carro di buoi, a chi parlavo? Al vento?!
- No, Signore – scosse la testa Adami, ricacciandola in due spalle piccole come quelle di un bimbetto – ma in realtà io non la capivo e mi dicevo le sue parole erano imperscrutabili ma incisive, le sue strade infinite e quindi chi cazzo ero io… pardon, chi ero io per porle domande? Io credo però, e glielo dico con umiltà - mi perdoni ma devo dirlo - io credo che tutta questa faccenda sia un po’ esagerata, in fondo una mela, una-
- Chiavata, Adami, chiavata! – corresse aguzzando lo sguardo e la voce il Capo.
- Beh, non dovevo farlo, signore. Le chiedo di perdonarmi, ma ormai ho capito che lei non intende farlo e quindi forse è meglio dirmi che provvedimenti prenderà su di me e sulla signorina Evelini- disse con una voce ferma e incolore Adami, questa volta lo sguardo ben piantato nelle pupille cerulee del Capo.
Il Capo rimase un attimo pensoso a guardare l’inferiore.
- Vedo che gli effetti del peccato mortale stanno iniziando a manifestarsi su di lei, ragioniere. Quel tono di sfida, di orgoglio malcelato, di onnipotenza. Ma si ricordi, lei non è me. Lei non può imitarmi, può solo adorarmi. Beh, la sua punizione la sceglierà lei.
Aprì un cassetto ed estrasse un barattolo di latta con dei foglietti ripiegati e lo aprì, porgendolo ad Adami.
- Ogni foglietto reca scritta una lettera dell’alfabeto e, di seguito, un elenco di alcune parole. Queste parole saranno il suo castigo. Chiuda gli occhi e scelga un foglietto.
Adami eseguì; la mano gli tremava, ma fu quasi con sollievo che si apprestò a scegliere. Non ne poteva più, era un calvario infinito.
Il boss aprì lentamente il foglietto, senza mai staccare gli occhi da quelli di Adami che, curiosamente, ora non abbassava più lo sguardo. C’era tensione nell’aria. Il Capo iniziò a leggere:
- Lettera C.
Castigo: appunto, e aggiungerei
Condanna. Meritatissima, non posso farci niente, io l’avevo messa in guardia.
Caos. La vita sua e della sua compagna regnerà nel caos, che in realtà non esiste. Lei sa bene che tutto ha uno scopo e che tutto è orchestrato da me per un fine, ma quando se ne andrà di qui, se ne dimenticherà e tutto le parrà Caos.
Cacciata. Appunto, io la licenzio e la sbatto fuori di qui. Si troverà un altro lavoro, nelle zone basse.
Cellulite. Ah, questo è per la Evelini, lei ne è esentato.
Corpo. Anche questo è per la nostra futura ex impiegata, come donna sarà sempre e solo identificata e valorizzata per il suo corpo. E non per il suo cervello, che, tra l’altro, qua non compare neanche come parola.
Conoscenza e Curiosità. Bella coppia! Le parole che, instillate nella mangiatrice di mele, la porteranno nei
Casini. Luoghi di perdizione dell’anima della donna e dell’uomo, ma farò in modo che a rimanerne offesa e condannata a vita sarà solo la donna e non l’uomo perché l’uomo è
Cacciatore. Voi uomini andrete a caccia per tutta la vita di sogni e desideri che non si realizzeranno mai e nella caccia vi porterete dietro una
Cagna. Ne abbiamo parlato prima, no? Allora, continuiamo:
Contrazioni e Calvario. Quelli della sua compagna al momento del parto, così da ricordarle che anche quando si vive la gioia più bella, il dolore non può mai mancare, così impara ad offrire mele in giro…
Ciclo. La sua donna soffrirà mensilmente e mi darà il suo sangue e-
- Capo, – interruppe Adami alzando una mano come uno scolaretto all’appello della maestra – a parte che mi sembra tutto un po’ eccessivo, mi scusi, ma vedo un accanimento particolare verso la povera Evelini, in fondo, se ho ben capito, io sarò Cacciato e Cacciatore nel Caos, ma lei: Contrazioni, Calvario, Cagna, Casini, Cellulite e-
- Cazzo, mi faccia finire! – imprecò il superiore – ne sono rimaste tre, tutte per lei, ragioniere.
- Ah, mi scusi, prego, mi dica… - fece sommessamente Adami.
- Calvizie. Colesterolo. Cilecca. Fine - disse ridacchiando il suo Capo.
- Perdoni la mia sfacciata curiosità, ma non conosco queste tre parole.
- Le capirà, presto o tardi, adesso fuori dai coglioni, ragioniere. Ho molto da fare, – tagliò corto il boss, alzandosi e dirigendosi verso il carrello dei liquori – e chiuda la porta, quando esce.
Mentre il Capo, di spalle, stava buttando due cubetti di ghiaccio in un tumbler, Adami si alzò lentamente e senza far rumore. Rimase per un po’ immobile, in piedi, poi prese una penna e scrisse qualcosa su un post it e lo mise in bella vista sulla massiccia scrivania. Infine, dirigendosi verso l’uscita, si voltò verso il Capo.
- Addio- disse Adami con voce calma e senza colore.
Non ebbe risposta.

Alcuni istanti dopo, Il Capo, rimasto solo, si sedette sulla poltrona sorseggiando distrattamente l’alcolico, poi l’occhio gli cadde sul foglietto giallo e lesse:

“Crocifisso. Capirà, presto o tardi. Cazzo.
Rag. Adami”

Il Capo rimase in silenzio per alcuni istanti che diventarono millenni.

Adami uscì dall’edificio e si accorse che nel frattempo tutto era mutato: non riconosceva il panorama e le persone che incontrava camminando gli sembrarono appartenere ad un’altra specie. Ma, dopo qualche minuto, Adami si era già abituato alla folla seria e silenziosa che incrociava passo dopo passo: avevano tutti la stessa luce negli occhi, luce che sentiva di avere pure lui, ora. Adami continuò a camminare sotto un cielo stranamente grigio finché non incontrò lo sguardo di Iva, che lo stava aspettando in fondo ad un viale alberato, con una piccola valigia ai suoi piedi. Lui le carezzò lievemente una coscia cellulitica, lei gli passò dolcemente la mano sulla testa quasi calva e calda. Non si dissero una parola, ma come obbedendo ad un comune comando, s’incamminarono lungo una strada sconosciuta, mano nella mano in mezzo al caos.

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