sabato 28 febbraio 2009

Gunnar


In pratica, erano le 4 e perciò doveva alzarsi.

Non proprio un dovere, anzi. Per Thomas Verro alzarsi tutti i sabati alle 4 di mattina faceva parte dell’hobby che praticava ormai da mesi: estrarre a sorte un giro in macchina sulle statali e partire. Ogni volta, un percorso diverso, questa volta viaggio fino a Roma e ritorno. E se l’estrazione dava lo stesso risultato consecutivo, Thomas ripeteva il percorso senza fiatare.

Solo una volta, quando estrasse per la quarta volta consecutiva Jesi-Pianello/50 volte, bestemmiò cavernosamente.

Pause prestabilite nei soliti posti per mangiare e fare i bisogni. Thomas era un perfetto capricorno, pignolo e abitudinario, e la sua vescica si era ormai rassegnata. Non lo stesso si poteva dire dei suoi intestini dispettosi, che amavano sorprenderlo con violente scariche nei posti più impensati. Posti senza aree di ristoro, senza siepi o fossi riparatori. Posti senza vita, ma che si riempivano di frotte di guidatori appena le feci facevano capolino dal suo corpo. Eserciti di persone pronte a sputtanarlo durante lo sforzo supremo dietro lo sportello dell’auto.

Erano i suoi famosi attacchi di diarrea emozionale.

In passato lo avevano costretto a rapide e violente gettate di sterco caldo e fumante durante una grandinata, col culo esposto al vento, al gelo, alle piogge. E sempre sui bordi striminziti della strada, unico riparo lo sportello. E tante erano le volte che gli OONK! dei camion che lo scoprivano gli facevano serrare di colpo i muscoli anali, interrompendo il sublime piacere di una sciolta in santa pace.

E più di una volta l’impeto era stato così urgente, da farlo uscire dall’auto, tirando contemporaneamente su il freno a mano e giù i calzoni , in sincrono perfetto, per lasciarsi andare tra spasmi e fitte di dolore.

Si augurò che quella mattina andasse tutto bene.

Scostò le coperte e rimase cinque minuti a testa bassa, seduto sul letto. Dopo una grattata alle palle e alla robusta collottola, si decise. Uscì ripassando il programma: pieno alla Esso, poi una tirata fino alle 8 per la colazione al Bar Zengoni, feroce pisciata e poi dritto a pranzo (pizza al taglio e lattina ghiacciata di chinotto ciociaro, il gustoso Chin8)), poi raccordo e ritorno indietro, eventuale sosta per un caffè.

A casa, doccia, riposo e uscita con quegli idioti dei suoi amici, per poi finire coll’addormentarsi sul tavolo del ristorante alle 9 di sera, il filo di bava e la collottola alla mercè degli scherni dei suoi compagni.

Salì in macchina, una Bravo Blue Steel di un cangiante verde Irlanda con più di 250mila km sul groppone. Dentro, un covo di acari e germi vari furono sorpresi nel sonno, accoccolati tra cartacce, resti di fast food, fazzolettini lordi di caccole, molliche, bottlgliette di plastica di bibite ormai fuori commercio, scontrini e lanugini varie. Controllò che tutto fosse a posto, il porta cd, tutti di Madonna, lo stradario e la carta igienica. Diede una sistematina al sedile, allo specchietto e a Gunnar, una pantegana di peluche grigia, acquistata all’Ikea, riponendola con dolcezza sul vano portaoggetti posto davanti al sedile del passeggero.

Durante il viaggio, Thomas pensò molto. Madonna gli cantava all’orecchio tutto Confessions e lui si abbandonava alla musica e al rumore, insolitamente sommesso per una Fiat. Pensava al massimo che poteva, quando viaggiava. La vita, la morte, il lavoro, gli amici, le chat, i bukkake, tutto.

Il sole era già al lavoro quando si fermò per la prima tappa stabilita. Colazione senza sorprese, ma gustosa, come sempre: cappuccio e cornetto. Pisciata regolare. Scontrino e via, al volante. Come tutte le volte che dall’estrazione usciva il giro Jesi – Roma, tutto avveniva come un rito, mangiava sempre la stessa cosa, il cd era sempre quello, persino i pensieri cominciavano a ripetersi sempre uguali. Ad ogni tratto corrispondeva una canzone di Madonna e un ugual filo di parole mentali.

Dunque, era pronto a ripartire.

Ma.

Ma ora c’era qualcosa di strano e di diverso che per qualche minuto lo paralizzò. Niente di sconvolgente, niente di clamoroso, tuttavia qualcosa c’era.

A destra, nel vano portaoggetti.

Dapprima la notò solo con la coda dell’occhio, poi si girò completamente, sempre più rapito dalla cosa. Gunnar. La pantegana. Ora aveva la coda sotto il corpo.

Impossibile, era distesa quando lui era sceso. Era sempre distesa, lui amava srotolare la sua coda lunga e diritta. Certo come la morte che prima di partire l’aveva srotolata, al solito. Come era possibile?

Si grattò il mento con le lunghe unghie da suonatore di chitarra, si schiarì la voce e, stupidamente, si guardò intorno. Nessuno. La portiera era chiusa, eppoi chi diavolo avrebbe fatto una cosa tanto cretina come aprire lo sportello, infilare la coda di Gunnar sotto la pancia e andarsene? Gunnar gli restituì uno sguardo di pezza, occhi neri lucidi di plastica, dentoni di stoffa e baffi storti di lana grezza.

Inquieto, Thomas scrollò la testa e ripartì, ma stavolta serio e senza accorgersi che Madonna aveva ripreso a cantargli di un certo Isaac, un qualcosa che aveva a che fare con cancelli aperti e anime lacerate. Nonostante il climatizzatore, Thomas aveva un po’ freddo. Guidava, ma l’occhio gli andava a intervalli regolari su Gunnar. E sulla coda.

Gunnar. Coda. Gunnar. Coda. Niente. Tutto normale. Come sempre.

- Cazzo – fece dentro di sé Gunnar – a momenti mi fottevo da solo! Ma come mi è venuto in mente di piegare la coda? Maledetti crampi! qua è sempre più dura fare il pelouche, non ce la faccio più! Dai, pare che il coglione si sia messo tranquillo. Tra poco si convincerà che è stato lui a piegarmi la coda. Devo solo stare fermo. Altrimenti mi svuoterà! Per Thor, che vitaccia!

Gunnar era nato per tribolare, ormai gli era chiaro. E il momento di tranquillità che era iniziato qualche giorno dopo che l’umano lo pescasse tra mille altre pantegane da un grosso cesto all’Ikea stava per finire, se l’umano si fosse insospettito e avesse iniziato a tenerlo d’occhio durante i suoi spostamenti. Come era finito a fare quella vita? Perché non aveva dato retta a sua madre Ingrid e ai suoi 243 fratelli maggiori? Davvero erano così insostenibili le fredde fogne di Svezia?

Beh, prima cosa lui non era come le altre pantegane. Già in tenera età faceva domande su cosa c’era fuori, sopra la testa sua e dei suoi compagni. Suo padre Lars, prima di fuggire con una panteganotta più giovane e grassoccia, gli ripeteva come un mantra: niente. Niente che valga la pena di vedere, figlio mio. Niente.

Ma un bel giorno senza sole, Gunnar partì. Voleva vedere questo famoso niente. Tra cunicoli e tubature c’era da perdersi ma lui non si perse mai d’animo. E finalmente uscì e quello che vide lo spaventò. Era troppo, questo niente! Umani ovunque. Cose sconosciute, altri esseri su quattro zampe, e rumori, i rumori! Ma neanche una pantegana.

Presto ebbe paura. Si ritrovò a corricchiare di qua e di là, ogni tanto squittendo nervosamente. Aveva paura di tutto e per un attimo si rimproverò per quest’alzata d’ingegno. Passò la notte in prossimità di un cassonetto, almeno da mangiare l’aveva trovato. Questo l’aveva colpito. C’erano cose più buone e in maggior quantità fuori rispetto al solito cibo della fogna. Sempre il medesimo piscio da bere. E ora che aveva scovato altri mille anfratti, era contento di dire addio al vecchio letto di tampax umidi che gli facevano venire dolori alla cervicale. Si stava bene sulle foglie ammassate o su pezzi di un materiale morbido e caldo che di tanto in tanto gli capitava di incontrare. E l’aria, fresca e profumata!

Ben presto, il piacere delle sue scoperte ebbe il sopravvento sui suoi timori. Iniziò a capire che a lui era riservata una vita dagli standard qualitativi più alti, rispetto a quei fifoni dei suoi fratelli e a quelle zoccole delle sue sorelle, sempre pronte a farsi impregnare, soprattutto quella viscida di Katinka.

Purtroppo, la spavalderia che andava crescendo di giorno in giorno giocò un brutto scherzo a Gunnar. Aveva sopravvalutato il senso di schifo che incuteva agli umani e soprattutto alle umane, quelle con la voce stridula come di topa in calore, e i cui culi, aveva notato, erano più grossi di quelli dei maschi. Un esemplare maschio, infatti, una sera lo incrociò e con un abile mossa, lo infilò in un retino e lo sbattè in un coso che si muoveva.

Insieme a lui, altre pantegane. Al chiuso, insieme a tutti quei ratti, per un attimo gli sembrò di essere tornato a casa. Ma poi l’assenza di piscio e di liquami e i colori brillanti gli fecero vedere la differenza. E inoltre era in movimento, sentiva le vibrazioni sotto il suo grasso culo.

Molte ore dopo, si ritrovò in un grosso magazzino. Tutto giallo e blu.

– beh, siamo ancora in Svezia! – disse ad alta voce. Gunnar era patriottico abbastanza da sapere quali fossero i colori della sua nazione, la migliore e la più progredita del mondo intero. Superato il problema della fame (una pantegana femmina accanto a lui aveva appena partorito una decina di teneri cuccioli e Gunnar, senza esitare, se li era ingoiati ancora caldi di placenta. Fece una zuppetta con i resti e la placenta. La madre lo ringraziò per averla sgravata…di tale inutile peso), Gunnar si appisolò. Era fiducioso per l’indomani. Confidava sulla sua capacità di togliersi dai guai. Tutto era meglio della fogna.

Esattamente 185 giorni prima, il giovane Mikkel Madsen aveva trovato il modo di farsi notare alla riunione dei giovani creativi dell’Ikea. Erano finiti i giorni da semplice stagista e presto quegli stronzi razzisti svedesi avrebbero finito di prendere per il culo lui e la sua Danimarca.

-C’è del marcio nel regno di Danimarca - amava ripetere il più grosso stronzo che avesse mai galleggiato lungo le coste svedesi, Ingmar Johansson, quando Mikkel gli si avvicinava – e ora ce l’ho davanti a me! Mikkel, puzzi di merda, dai!

E tutti ridevano.

Ma era finita, finalmente.

In quanto giovane mente danese sempre in fermento, Mikkel aveva osato prendere la parola in quella benedetta riunione. Si discuteva del settore prodotti dell’infanzia.

Ikea era fiera per i suoi animali in pelouche, del loro contributo all’educazione del coraggioso bimbo nordico e alla sua differenziazione dal rincoglionito bimbo mitteleuropeo.

Il piccolo guerriero scandinavo, grazie ai suoi pelouches, familiarizzava in tenera età con ragni sinistri, draghi feroci , scorpioni spietati, grosse vespe, serpenti velenosi, squali assetati di sangue, orsi giganti, formiconi e pipistrelli disumani, a differenza del suo coetaneo più a sud, domatore al massimo di teneri orsacchiotti, soffici coniglietti, tonde paperette , dolci cagnolini e soavi micetti.

Il piccolo Sven sarebbe diventato un vero uomo.

Tutto questo grazie anche ad Ikea.

Ma il problema era l’alto costo del materiale e della manovalanza atti a creare simili teneri trastulli.

E ora stavano per lanciare altri animali, con conseguenti costi aggiuntivi.

Insomma, dopo aver liquidato tutta l’infanzia del sud europeo sotto il file Future Checche e Svenevoli Donnette, contrapposto a quello dei Futuri Vichinghi e Indomite Eroine, la domanda venne espressa fuori dai denti. Come ridurre i costi, signori miei?

Il silenzio era pesante e spesso come la vela di una nave vichinga, ma Mikkel tra sé esultava. Era giunta l’occasione! Tossicchiò per attirare l’attenzione e parlò:

- Stiamo per lanciare la pantegana grigia con sottopancia bianco, giusto? Beh, possiamo fare poco per draghi e bestiole giganti, dato che esse…ehm, non esistono…cioè, i draghi sono esistiti, tutti i nostri avi più valorosi li hanno combattuti e vinti, però…appunto, non ci sono più. Ma le pantegane! Al mondo ci sono più pantegane che uomini, forse solo i bacarozzi sono più numerosi…

- E allora, Madsen? Vieni al punto – gracchiò Johansson, più stronzo che mai. Qualcuno aveva cominciato a ridacchiare e a guardarsi le punte delle dita e a muoversi sulle sedie. Ecco il danese che apriva bocca e sparava una cazzatona, pensavano tutti. Raccontaci la favoletta, Andersen!

Mikkel riprese fiato e disse teatralmente:

- Beh, è semplice. Catturiamo pantegane, le svisceriamo, le essicchiamo come stoccafissi e le ricopriamo con un sottile, sottolineo sottile, strato di stoffa economica. Denti, baffi e occhi saranno finti, sennò i bambini mangeranno la foglia. I bambini scandinavi, chiaro, gli altri sono un po’ più tardi…ehm.

La vela vichinga di pesante silenzio calò ancora una volta. Ma nessuno stava ridacchiando. Tutti immobili, tutti a fissare il volto spigoloso di Mikkel. Poi Johansson sbuffò:

- Madsen, è ora che qualcuno ti spieghi come funzionano le cose, nella vita vera. Ad esempio – rise sarcastico - quella cazzo di sirenetta che avete a Copenhagen non esiste, non è che l’hanno catturata, sbudellata e ricoperta di cemento e sta lì ad aspettare di fare pompini a tutti i danesi!

Partirono ondate di risate, uno scroscio di pioggia ilare che coinvolse tutti, le pur robuste sedie Ulla scricchiolarono sotto le convulsioni dei loro occupanti.

Ma ben presto il più autorevole tra i partecipanti, il direttore Ingvar Kristiansen alzò la mano. Tutti tacquero di colpo.

- E’ un ‘ottima idea.

- Ma…

- Zitto, Johansson!

- Ma, signore…

-Zitti, idioti! Tutti quanti. Madsen, quando domattina entrerà nel suo nuovo ufficio, voglio tabelle comparative, prezzi, preventivi, diagrammi e quant’altro. Voglio sapere quanto risparmieremo.

- Signore, se mi permette, è…

- Ah, Johansson, quanto hai rotto il cazzo! Impara, una volta tanto! E, per chiarire, i pompini a Copenhagen te li fanno e le sirenette esistono eccome…di tutte le età, bionde, rosse, more, magre, grasse. Chi può negare che in realtà non sia una sirena la battona che stai pagando? Così è per la pantegana, ogni bambino può pensare che sia vera o meno, chi glielo può impedire? E perché poi?

Mikkel rispose con un largo sorriso. Tieni, stronzo! W la Danimarca! Dissero i suoi occhi a Johansson. Johansson uscì per primo, di scatto, giocandosi una palla contro l’angolo vivo del tavolo Tromso.

E 185 giorni dopo, Gunnar continuava a sonnecchiare sotto i baffi, ignorando l’essiccatura post mortem che lo attendeva.

Il 186esimo giorno dall’Avvento di Mikkel, Gunnar venne portato con i suoi simili in un grande stanzone dove regnava un’aria sinistra. Olfattivamente parlando. Fu allora che udì Olaf, uno dei ratti più anziani, sospirare. Iniziò a dire che aveva visto molti suoi compagni sparire dentro uno di quei strani congegni, quando, mesi fa, era andato a rubare cibo nella mensa. E aggiunse che una volta un suo amico, salvato dagli dèi, raccontò che tutte le pantegane venivano uccise e vendute ai bipedi.

A Gunnar si rizzò il pelo e la coda cominciò a saettare inquieta. Morire, lui? E per che cosa s’era fatto tanto il mazzo? No, doveva fuggire! Doveva esserci un’alternativa tra la fogna e la morte!

Approfittò della confusione e quando la gabbia venne aperta, sgattaiolò e imboccò un lungo tubo. Sarà che un tubo ricorda sempre casa, sarà che il buio si confà meglio ad una pantegana, ma fu così che Gunnar ebbe salva la vita. Il tubo aveva un nastro dentro e su questo nastro scorrevano centinaia di pantegane morte.

Pantegane strane, osservò Gunnar. Morbide, sì, ma rivestite di un pelo innaturale. E occhi enormi, duri e vitrei. E quei denti, grandi ma morbidi, non sarebbero stati capaci di rosicchiare neanche del burro salato norvegese.

Poi, la rivelazione lo fulminò. Vide la luce. Quello era il risultato finale, quello per cui erano lì. Allora decise di rischiare il tutto per tutto.

Si abbandonò sul nastro, si finse morto finchè con uno scatto s’infilò sotto uno di quei Frankenstein. Il viaggio terminò con un volo in una grande cesta, Gunnar finì sepolto da mille pantegane morte e leggerissime.

Il resto fu facile. Svuotò, con sommo schifo, una pantegana semilavorata a caso, s’infilò dentro e, calzate le zampette, corse verso dei grossi veicoli con le ruote.

Al ritmo di Gimme!gimme!gimme! degli Abba, che risuonava nello stabilimento, Gunnar stabilì il record degli 800 metri. Saltò su un camion e si appiattì in mezzo a tanti altri suoi sfortunati simili. - Questi cosi con le ruote si muovono, perciò mi tireranno fuori di qui, devo solo fare una cosa: stare fermo il più possibile, come questi sfigati! Se gli umani mi scoprono mi svuoteranno!

Il camion uscì dalla rimessa in mattinata. Gunnar dormiva, la sua cesta era proprio quella sotto il cartonato che recava la scritta IKEA – ANCONA SUD.

E fu così che Gunnar finì tra le mani di Thomas. Arrivato ad Ancona, rimase settimane nello stabilimento. Dopotutto, aveva calore, luce, musica e cibo facile da rubare. L’ozio lo aveva ammorbidito. L’unico suo impegno, anche se duro, quello di rimanere immobile dalle 10 alle 20, domeniche incluse.

Inoltre, confidava sugli europei del sud: non erano abbastanza coraggiosi da regalare ai loro pargoli una pantegana. Nessuno lo avrebbe preso.

Questo spiega il senso di scocciatura che lo colse quando una mano ossuta, dalle dita lunghe e dalle unghie annerite da residui di saldatura, lo pescò dal mucchio.

L’umano era in compagnia di un’umana. Gunnar capì il loro linguaggio, mesi di Ikea lo avevano addestrato.

- Cazzo, quant’è ciccia e morbida questa pantegana, Thomas!

- Già…carina.

- Comprala! La metti in macchina, così ti distinguerai dagli altri.

- Beh, sì…

- Vuoi mettere, una macchina con un ratto? Invece di quegli stupidi orsacchiotti, le paperelle e gnagnagna!

- Sì, mi piace, la compro.

- Puttana! - Soffocò tra i denti Gunnar – un’umana che ama le pantegane?! Puttana nordica!

L’irritazione di Gunnar crebbe quando scoprì di valere solo 3.99 euro.

Col passare dei giorni, Gunnar si abituò alla sua nuova vita.

In una Fiat.

Certo, una Volvo sarebbe stato il massimo, al limite una Saab, ma tutto era meglio che essere svuotato, essiccato, riempito di cotone e dato ad un piccolo umano sbavazzante. E comunque quella Fiat, anche se ridotta ad una discarica, non era una fogna.

La sua Svezia gli mancava un po’. Niente Abba, niente polpette ai mirtilli, niente aringhe o salmoni. Però gli avanzi della pizza gli piacevano, anche se Madonna non la sopportava. Andava meglio con gli occasionali Slayer e Sepultura, ma non reggevano in confronto al metal scandinavo. Però, Gunnar poteva sgattaiolare spesso dall’auto, quando era notte e l’umano dormiva nella sua tana. E occasionalmente aveva cercato solidarietà con le pantegane indigene, ma erano più chiuse, diffidenti e le femmine non si facevano scopare con la stessa facilità delle svedesi. D’altronde, non aveva rischiato così tanto per poi ritrovarsi di nuovo in una fogna, specie se straniera. Tutto sommato era libero di farsi gli affari suoi, quando era solo.

E tutto era filato liscio fino a quel maledetto sabato.

Ora Gunnar sentiva su di sé gli occhi dell’umano. L’umano che parlottava sommessamente.

Rimase rigido tutto il tempo, in un paio di occasioni implose una scoreggia. E pregò Odino di non farlo accedere così presto al Walhalla, non aveva ancora voglia di conoscere tutte le pantegane morte in battaglia. Il walhalla, il cibo, la birra e le vergini potevano ancora fare a meno di Gunnar.

Il telefono di Thomas squillò, Gunnar tirò un sospiro di sollievo, poteva rilassarsi 5 minuti. Era di sicuro quella vacca dalle origini nordiche che l’aveva convinto a comprarlo, strappandolo al suo benessere. Infatti, era lei. Chiacchierarono per un buon quarto d’ora e Gunnar ne approfittò per far rotolare delle cacchine, scoreggiare soffusamente e rosicchiare briciole di patatine senza attirare l’attenzione.

Il viaggio riprese. Thomas era ormai sulla via del ritorno. Non aveva fatto parola della pantegana a Olga, sarebbe stato preso per il culo per le prossime ere geologiche, la stronza avrebbe raccontato la cosa agli amici, sarebbe diventato lo zimbello di tutta Jesi. Già lo sfottevano per quella collottola che aveva, grassa e spessa come cotica di maiale e per i suoi improvvisi attacchi di sonno.

Ormai non pensava più a Gunnar. Sarà stato lo scherzo della stanchezza – pensava Thomas – ho fatto la mattina questa settimana…avrò piegato quella coda soprappensiero…bah. Sentiamoci Madonna, và.

La strada srotolava un tappeto uniforme e grigio sotto le ruote della Bravo, il sole accompagnava Thomas e Madonna, l’uno perso dietro il significato della parola bukkake, l’altra impegnata a cantargliele a uno che era un mezzo uomo, che aveva rotto le palle a chiedere sempre scusa in tutte le lingue del mondo, che andasse a cagare.

Improvvisamente, i sintomi.

Una diarrea emozionale stava arrivando, Thomas lo sentiva.

Uno tsunami nel culo.

Fitte di puro dolore.

Gorgoglii dalle fogne dell’inferno.

No!

Thomas cercò disperatamente un autogrill, ma già sapeva che non ce n’erano. Come tutte le volte.

Una siepe, un cespuglio, un albero, una stradina secondaria.

Niente!

Inchiodò, le gomme protestarono stridendo.

Thomas era ormai grigio e sudato, aveva ridotto l’ano ad una fessura, come l’occhio del gatto che si trovi improvvisamente a fissare un fascio di luce.

Aprì il vano portaoggetti, rovistò alla cieca, ballando sulla gambe, come in un rito woodoo che allontanasse la cascata di merda.

Niente carta igienica!

Ma cazzo! L’aveva presa stamattina, ricordava esattamente che…Gunnar! Guardò Gunnar. Gunnar cercò di sembrare più finto che mai. Thomas lo prese di scatto strizzandolo e uscì dall’abitacolo.

Gunnar trattenne il fiato.

- Mi ha scoperto! Ha capito che sono vivo! Ho mangiato la sua carta igienica, cazzo che dovevo fare?! Avevo fame, è da ieri che non tocco niente! Adesso mi svuota! Odino, Odino mio…

Thomas si calò i pantaloni in un nanosecondo, si aprirono le cateratte del culo, passò un camion che suonò OONK! e tutto finì in un attimo.

Una gettata bruciante e marrone.

Ormai svuotato e liberato, Thomas riprese fiato. Sentiva l’arietta fresca che gli soffiava sulle chiappe. Se la gustò un istante, poi prese Gunnar e ci si pulì il culo.

Lo rimirò dopo l’operazione, constatò che non era molto sporco, lo strofinò per terra e, tenendolo per la coda, se ne ritornò in macchina, a passo lento, rilassato. La tempesta era passata.

Aprì il cofano, avvolse la pantegana in una busta di plastica e le sussurrò parole dolci. – Scusa, bella. Mi dispiace. A casa ti pulirò bene bene. Non succederà più. Sorry. Je suis désolé.

E ripartirono.

Gunnar rimase sotto shock per quasi tutto il viaggio. Ogni tanto si assopiva, ma l’immagine al ralenti del culo sporco di Thomas che si avvicinava alla sua faccia lo svegliava di soprassalto.

A fine viaggio, nonostante tutto, sorrise. E dire che suo padre gli aveva detto che non c’era niente da vedere sopra la fogna…

L’indomani giaceva steso sul balcone della tana dell’umano. Era pulito, anche se aveva passato una brutta mezz’ora a rotolare in un macchinario pieno d’acqua e schiuma profumata. Aveva dovuto trattenere il fiato, ma per lui ormai era diventato facile.

S’immaginò di tornare nella fogna di Stoccolma e di scovare suo padre. E prima di sfondargli il costato con un calcio gli avrebbe detto:

- Niente oltre la fogna, eh, papà? NIENTE?

E un culo sporco di merda ti pare niente!?…

Poi guardò giù. Il giardino curato, il sole nel cielo, una certa frescura, odore di cibo, musica in lontano sottofondo, ancor più lontane le risate cristalline e le fugaci bestemmie degli umani.

Nessuna fogna cupa all’orizzonte..

E Gunnar rise di cuore, le lacrime agli occhi, quelli veri.



4 commenti:

  1. Racconto abbozzato taaanto tempo fa, ci ho rimesso le mani in questi giorni.
    Dedicato a Thomas Verro e alle sue folli smacchinate.
    Dedicato altresì alla Danimarca, è da stamattina che mi ronza in mente il cinema danese e in particolare Mads Mikkelsen, sarà perché stanotte Lars Von Trier e il suo sguardo da bambino pazzo in sogno mi dicevano : - Olga, non c'è un cazzo da fare. In Italia i film danesi non si distribuiscono, quindi te li devi beccare in danese sottotitolato in inglese, cocca!
    E io gli ho risposto: - W il Dogma 95!
    E lui mi ha risposto: - Sì, sì, torna ai VANZINA, và, che è meglio...
    Stamattina, rancore e frustrazione a manetta.

    Un consiglio: se potete, guardatevi il film "Le mele di Adamo", un piccolo capolavoro sulla fede e sull'eterna lotta tra bene e male. Protagonista il mio Mads, ovvio.

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  2. Big Head dice che questo racconto fa troppo schifo. Non per l'idea, ma per tutta la parte della merda.
    Ma la vita non è forse una carrettata di merda tra un'illusione e l'altra?

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  3. E la merda peggiore ti capita quando quella che pesti non sembra affatto merda. Quella vera almeno porta fortuna (così dicono, ma non ci credo molto: a quest'ora, dopo quella pestata a casa di Captain Spinoza avrebbe dovuto portarmi tanta fortuna, e invece...)

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  4. meravigliosooooo!!! forse è la roba migliore che hai scritto!!! ahahaa!!! stupendo, geniale!!! e mikkel madsen??!! ahhaahahaa!!!! sei fuori come un balcone (o come un genio!!!) A quando un racconto sul mio Gennar, il parente napoletano???

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